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E’ proprio vero che l’amore romantico non esiste nella realtà?

coppia felice 2

E’ proprio vero che l’amore romantico, quello che si legge nei romanzi e si vede nei film, che dura tutta la vita, non esiste nella realtà? Ed è altresì vero che i legami di coppia sono pieni di passione nelle fasi iniziali, per poi affievolirsi col passare del tempo? Come avviene la scelta del proprio partner?

Per rispondere a queste domande facciamo riferimento alla teoria dell’attaccamento, formulata negli anni Sessanta da uno psichiatra inglese di nome Bowlby, per dimostrare che le relazioni sentimentali si sviluppano seguendo un percorso che contribuisce a un buon adattamento dell’individuo al suo ambiente sociale e fisico (Attili, 2004). E’ grazie alla teoria dell’attaccamento che possiamo spiegare come un uomo, arrivato all’età adulta, organizzi la propria vita affettiva in funzione dei passati legami di attaccamento, mettendo in luce il ruolo che le relazioni della prima infanzia possono avere nel predire il futuro successo di una relazione di coppia. L’interesse di Bowlby era nato con l’osservazione di Lorenz e delle sue paperelle: costui aveva notato che appena nate, quelle papere seguivano la prima cosa che passava loro davanti agli occhi e che ciò continuava per il resto della loro vita. A quel punto Bowlby si è interessato agli studi condotti dagli etologi e ha potuto constatare che, in diverse specie, una varietà di comportamenti sembrava avere lo stesso obiettivo: la vicinanza fisica.

Se alcuni romantici spiegano l’incontro tra due persone come il frutto del caso, Bowlby pensa che il formarsi di una coppia poggi sulle capacità del coniuge di confermare le rappresentazioni che sono state costruite su di sé e sugli altri fin dalla prima infanzia. Bowlby ha usato il termineomeostasi rappresentativa per spiegare che ci si lega a qualcuno che non faccia vacillare il sistema di rappresentazioni così saldo in noi.
Ciò che si vorrà arrivare a dimostrare è che è proprio l’attaccamento il filo che tiene unita una coppia, secondo il processo dell’attaccamento, che porta i partner a provare certe emozioni durante la loro relazione. Secondo questa teoria arriveremo a vedere come l’amore all’interno di una coppia possa essere riconducibile all’amore che lega un bambino alla madre, e come il rapporto madre-bambino può spiegare il complesso legame d’amore tra adulti.
La comprensione dell’attaccamento in età adulta richiede una comprensione della teoria dell’attaccamento in sé (Crittenden, 1999). La teoria dell’attaccamento, sviluppata da Bowlby (1962-82, 1973, 1980), è una teoria riguardante la funzione e lo sviluppo del comportamento protettivo umano. La teoria è nata come integrazione di teorie etologiche, evoluzionistiche, psicoanalitiche e cognitive.La teoria dell’attaccamento presuppone che gli esseri umani hanno una predisposizione innata a formare legami di attaccamento con persone significative, che questi legami hanno la funzione di proteggere la persona attaccata, e che queste relazioni esistono dalla fine del primo anno di vita fino alla morte. L’attaccamento in sé è definito come un bisogno innato di ricercare per tutta la vita la vicinanza protettiva di figure di riferimento in momenti di difficoltà. Bowlby per primo contesta la teoria di Freud secondo la quale il legame madre-bambino si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo: infatti non pensa che il legame che unisce il bambino alla madre sia solo per soddisfare il suo bisogno di nutrizione, ma che sia un bisogno primario.

Bowlby parla di Modelli Operativi Interni (MOI) cioè di schemi mentali che ciascuno di noi costruisce nel corso della propria vita, interagendo con l’ambiente, cioè rappresentazioni interne di se stessi, delle proprie figure di attaccamento e del mondo. Essi hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale; questo concetto spiega come le esperienze di vita guidino i nostri comportamenti futuri. I MOI del bambino possono continuamente essere ridefiniti sulla base dei cambiamenti della realtà esterna e della relazione con la figura di attaccamento che muta con il mutare del bambino.

Non tutte le relazioni umane, anche quando sono significative, sono relazioni di attaccamento. Perché si parli di attaccamento devono essere presenti tre condizioni di base (Weiss, 1982). Prima di tutto è necessaria una ricerca della vicinanza tra la persona attaccata e la persona che offre attaccamento; questa ricerca è molto evidente nel bambino piccolo in relazione con la madre. L’altro elemento fondamentale è la reazione di protesta per la separazione, cioè quell’insieme di comportamenti di attaccamento che si manifestano nel momento in cui ci si sente in pericolo perché la relazione non è più garantita. La terza e ultima condizione è la base sicura, cioè la particolare atmosfera di sicurezza che si instaura tra figura attaccata e figura di attaccamento. Bowlby (1988) ha spiegato come un bambino o un adolescente per esplorare l’ambiente extra-familiare abbia bisogno di sentirsi sicuro di poter ritornare sapendo che la base sicura sarà li ad aspettarlo.

Verso la fine degli anni Sessanta, l’attaccamento incominciò ad essere oggetto di studi sistematici. Il contributo primario di Mary Ainsworth alla teoria dell’attaccamento riguarda aver trovato delle differenze individuali nella qualità di attaccamento (Ainsworth et al., 1978). Questo è stato possibile grazie a una semplice procedura di laboratorio, chiamata Strange Situation, volta a misurare l’attaccamento in bambini di 1-2 anni. Furono identificati quattro tipi di attaccamento:

  • Attaccamento sicuro (B) in cui il bambino ha una madre presente, in grado di rispondere ai bisogni di conforto e protezione del figlio; in questo modo il bambino con attaccamento sicuro sa di poter accedere alla protezione della madre quando vuole e quindi è desideroso di esplorare il mondo e allo stesso tempo di ritornare alla sua base sicura nel momento in cui gli si presenta un “pericolo” (per esempio l’avvicinarsi di un estraneo).
  • Attaccamento insicuro-evitante (A) in cui il bambino ha una madre in genere non in grado di rispondere ai suoi bisogni, di conseguenza questi bambini si sentono rifiutati dalla figura di riferimento e temono costantemente il rifiuto dell’altra persona, pur ricercando l’approvazione degli altri per colmare il proprio vuoto. Sono bambini che imparano a inibire le loro emozioni e che non si sentono amabili e desiderabili; come conseguenza il bambino evitante tenderà a distaccarsi dalla madre e successivamente a iper-esplorare l’ambiente circostante.
  • Attaccamento insicuro-ambivalente (C) in cui il bambino ha una madre che risponde alle sue richieste ma in modo non costante, sono madri imprevedibili. In questo modo il bambino si sente a volte amabile altre volte rifiutato e quindi mette in atto una strategia di controllo serrato sulla madre: infatti questi sono bambini che ipo-esplorano l’ambiente perché hanno paura a separarsi dalla loro figura di attaccamento.
  • Attaccamento insicuro-disorganizzato (D) in cui il bambino viene messo in pericolo dalla madre, questo determina un crollo del sistema di attaccamento e di conseguenza i bambini manifestano comportamenti paradossali e disorganizzati.

Hazan e Shaver (1987; 1992) sostengono l’idea che l’innamoramento è un processo d’attaccamento che viene vissuto dagli individui in maniera diversa, a causa delle loro differenti storie di attaccamento. Hazan e Shaver (1987) hanno dimostrato la forte somiglianza tra attaccamento infantile ed attaccamento adulto, portando prove empiriche e dimostrazioni teoriche a sostegno della teoria dell’importanza dello stile di attaccamento nelle relazioni amorose. La ricerca ha analizzato la relazione esistente tra stile di attaccamento e diversi aspetti delle relazioni stabilite nell’infanzia e nell’età adulta. Tale studio è stato condotto negli Stati Uniti su un campione di 620 soggetti, aventi un’età media di 36 anni. Si è chiesto inizialmente ai partecipanti di scegliere tra tre descrizioni standard di sentimenti di sicurezza o insicurezza affettiva, quella che meglio li descriveva ed in base alla loro scelta sono state individuate le persone sicure, quelle insicure-ansiose evitanti e quelle insicure ansiose ambivalenti. Nella fase successiva si è invece chiesto ai soggetti di individuare le caratteristiche salienti delle loro relazioni d’amore all’interno di una scala di aggettivi.

Gli individui categorizzati come Sicuri descrivevano i loro amori come basato sulla fiducia e loro stessi come felici, in grado di accettare aiuto e di offrirne al loro partner malgrado questo avesse commesso errori. Emerge, inoltre, un altro dato degno di nota, le loro relazioni avevano avuto una durata maggiore (10 anni in media) di quelle dei soggetti classificati come Ansiosi Ambivalenti (4 anni e 8 mesi in media), nonché di quelle dei soggetti classificati come Ansiosi Evitanti (5 anni e 9 mesi in media). Gli individui che rientravano, invece, nella categoria Ansiosi Evitanti  descrivevano le loro relazioni come basate sulla paura dell’intimità, sulla gelosia e su alti e bassi emotivi. Gli amanti Ansiosi Ambivalenti avevano una paura di amare altrettanto profonda, alla base di questa paura emergeva una mancanza di fiducia che si manifestava con sentimenti ossessivi nei confronti del partner, forte desiderio di unione e di reciprocità al di fuori della realtà, sentimenti ambivalenti, gelosia e attrazione sessuale.

Evidenziate le differenze possiamo però anche concludere dicendo che dai risultati di questa ricerca emerge che l’amore romantico ha alcuni tratti comuni a tutti gli individui e che le differenze tra gli individui non sono relative solo all’intensità quanto alla diversità di ciò che si prova.
Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2015/11/scelta-partner-attaccamento/